If you can’t eat, just write.

mercoledì 25 settembre 2013

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Pensieri di 24 ore fa... 

Mi sono sempre piaciute le partenze. Hanno sempre significato “nuovo”. E inizio di qualcosa. Anche da bambina, quando la vacanza era il momento dell’avventura.
Sono una dalla valigia facile, nonostante il fondo di emozioni che sono cresciute con me riguardanti la partenza. Sensazioni non ben identificabili che ti prendono tutto d’un tratto quando l’idea di partire diventa realtà.
Oggi, 24 settembre ’13, fine del primo vero viaggio da sola. Treni presi e non persi, stazioni esplorate e due città diverse nel giro di una settimana. Paesaggi opposti e tante ore spese a pensare. “La solitudine ci dà il piacere di una grande compagnia: la nostra.” E se si devono prendere cinque diversi treni e si devono affrontare diverse ore di viaggio, di tempo se ne ha eccome! Tempo ritagliato tra le pagine di un libro e le canzoni dell’ Ipod, tra mille storie di vita e conversazioni. Nella lontananza ci si analizza…
Resoconto del viaggio a cui ho dato un significato. Per me è così importante essere sulla strada di casa adesso, e scrivere.
Compagni di viaggio: la solita valigia e la borsa grigia sempre troppo piena, la mia fedele borsa consumata e un nuovo libro. Perché non si parte mai senza un libro in borsa. Trovato per caso negli scaffali del supermercato, tra mille altri buttati lì in disordine. Racconta del lavoro di uno psichiatra americano e della sua incredibile scoperta sulla mente umana. Alla fine, magari scriverò anche di questa storia.
Sono le 22:05 e il vagone è quasi vuoto. Nonostante le cuffie riesco a sentire qualche risata. Il paesaggio cambia rapidamente fuori dal finestrino, dovrebbe esserci il mare, ma non riesco a vederlo. Solo luci e stazioni secondarie deserte. La mia è sempre più vicina, ma l’orologio mi dice che ci vuole un altro po’ di tempo. Ho ancora qualche altro attimo solo mio per scrivere. Ascolto Whitney Houston e canticchio “I’m nothing without you”. Spero che quel “you” sia per lei, spero l’abbia scritto pensando al suo bene. Il bello di capire le canzoni in inglese sempre un po’ meglio: struggersi col cantante per quei sentimenti mancati.
Macchine che scorrono parallele al treno e il riflesso di te dopo una giornata di viaggio. Cellulare sempre acceso e la stanchezza che inizia a farsi sentire. Niente connessione internet fino a casa. Persone che sonnecchiano e altre che scendono. Berry White che ha amato qualcuno incondizionatamente e l’ha scritto, tra un po’ una nuova stazione. Oggetti dimenticati tra i sedili e i tanti bagagli sulle cappelliere. La tua valigia che beatamente va avanti e dietro sulle ruote quasi avesse vita propria. Nuova stazione ancora non identificata: aspetto il cartello blu di ordinanza e mando il messaggio a casa per far sapere dove sono. A conti fatti la prossima fermata è la mia. Ho buttato giù le parole della stanchezza e parole che sanno di fine viaggio. Aspetto il prossimo. 

Giulia

lunedì 23 settembre 2013

La casa è dove si trova il cuore: la mia Milano

Milano e la sua energia. Milano che ti fa innamorare. Milano che ti strema e ti appassiona. Milano, Milano, Milano...
I quattro giorni delle corse folli, dello shopping e dei km macinati a piedi, delle Vans consumate e dei semafori rossi, dei tram e delle bici, degli angoli nascosti e così belli da mozzare il fiato, del caffè americano e delle borse troppo pesanti, delle foto al Duomo a tutte le ore e delle tante, tantissime persone in strada a tutte le ore. E ancora, delle risate e della meraviglia, dell'amicizia, della spesa al volo e delle crocchette di pollo, così tante da bastare per una squadra, delle sveglie alle otto e dei programmi non rispettati.
Sono i miei ingredienti per quelle giornate che comunque vada sono belle, nonostante la stanchezza e le poche ore di sonno. Perché è così importante trovare dei posti che significhino questo, posti in cui poter andare e trovare un pezzetto di casa. E' così saggio seminare il proprio affetto nel mondo, per sentirsi bene in ovunque si vada. In fondo, se i saggi latini dicevano che: "La casa è dove si trova il cuore", sarà pur vero, no? 
Cerchiamo di cercare la nostra casa dove sono gli amici, la famiglia e soprattutto noi stessi. Troviamo un posto in cui poter essere noi e basta per poter diventare persone migliori.
Cerchiamo amici che ci somigliano, ma che sono anche diversi da noi, così da poter imparare a fare tante cose: ridere, raccontare e programmare. 
Cerchiamo noi e basta nel luogo che più ci ispira. E poco fa se non ci accontentiamo di una sola città. 
Ho messo Milano nel cuore, vicino ai miei luoghi preferiti. Ho avuto l'occasione di poterla guardare con occhi migliori in questi 4 giorni e ringrazio di aver fatto la valigia e di essere salita su quel treno lunedì mattina. 
Adesso la mia "casa" è anche un po' lì.

Giulia





domenica 22 settembre 2013

Treno e vita, quasi la stessa cosa

Fare la valigia e partire. Per sé stessi. E un po' anche per gli altri. Ma soprattutto per staccare la spina col proprio mondo per qualche giorno. Il rumore del treno aiuta a distrarsi e le storie che ogni giorno porta su e giù per l'Italia aiutano a non pensare alla propria. Ogni persona incontrata solo per qualche ora ha un bagaglio di attimi e parole che si porta dietro proprio come te. E così ci si sente meno soli, nonostante le poche parole di circostanza scambiate con il proprio vicino: "Deve passare?" "Scusi, mi può aiutare con la valigia?". In quel vagone pieno di persone, dall'uomo d'affari alla famiglia di turisti stranieri, tu sei uno dei tanti che quel giorno ha preso il treno e ha deciso di mescolarsi agli altri, di scambiare qualche parola con volti che non si vedranno mai più. Si può essere chi si vuole sul treno, anche la persona che si tiene più nascosta per paura che sia troppo. Quella che si ritaglia ben cinque ora per leggere un romanzo spettacolare tutto di un fiato con la musica nelle orecchie, che osserva la varietà di vite che ci sono in giro e capisce che la propria è una delle tante e proprio per questo è unica, che raccoglie le proprie cose in una valigia e in una grande borsa grigia e si rende conto che nonostante il peso riesce a portarle su e giù, "by her self". 
Alla fine della corsa scendere un po' diversi rispetto a cinque ore prima quando si aveva paura di perdere il treno. Catapultata in una stazione enorme e frenetica, rumorosa e piena di inizi e addii. Sentirsi un puntino, ma un puntino che ce la fa da solo a cominciare da queste piccole cose. 

Giulia

mercoledì 4 settembre 2013

Si amava e si odiava sul serio

 “Come doveva essere bello il mondo” pensava con un rimpianto ironico, quando un marito tradito poteva gridare a sua moglie: “Moglie scellerata; paga con la vita il fio delle tue colpe” e, quel ch’è più forte, pensar tali parole; quando al pensiero seguiva l’azione: “Ti odio” e zac! Un colpo di pugnale: ecco il nemico o l’amico steso a terra in una pozza di sangue; quando non si pensava tanto, e il primo impulso era sempre quello buono; quando la vita non era come ora ridicola, ma tragica, e si moriva veramente, e si uccideva, e si odiava, e si amava sul serio, e si versavano vere lacrime per vere sciagure, e tutti gli uomini erano fatti di carne ed ossa e attaccati alla realtà come alberi alla terra. A poco a poco l’ironia svaniva e restava il rimpianto; egli avrebbe voluto vivere in quell’età tragica e sincera, avrebbe voluto provare quei grandi odi travolgenti, innalzarsi a quei sentimenti illimitati… ma restava nel suo tempo e nella sua vita, per terra.

Queste parole, quelle di Alberto Moravia ne “Gli indifferenti”, se ben recepite e assorbite a pieno, sono in grado di dare uno schiaffo al mondo con un’eleganza straordinaria, risvegliandolo dal suo voluto e studiato torpore. Nel romanzo, infatti, il corpo di Michele (il protagonista del passo che mi ha stregato) si libera della sua funzione originaria, ovvero di essere specchio esteriore di un’anima interiore, per assumerne quella passiva di un’arena, un campo di battaglia nel quale i lottatori sono il Michele autentico e un Michele utopistico. Il protagonista sente e subisce il peso delle costrizioni sociali, è completamente schiacciato dal dover essere che gli impone di indignarsi per determinati affronti alla propria persona, di innamorarsi secondo un percorso prestabilito, di frastornarsi per quella “sudicia avventura” che vedeva sorella e madre amanti del medesimo uomo… ma Michele non prova nulla, se non apatia, semplice e odiosa indifferenza. Quello che più attrae e, allo stesso tempo, fa rabbrividire è che quest’indifferenza, questa incapacità di comprendersi e riconoscersi,  è tremendamente familiare.
Viviamo in un mondo in cui i rapporti umani, più che basarsi su reali, travolgenti e spesso pericolose passioni, si fondando su studiata, calcolata e scientifica metodicità: la spontaneità e il rischio lasciano il posto alla sicurezza. Non credo servi andare molto lontano per ritrovare quell’età tragica e sincera, basterebbe tornare al tempo dei nostri genitori, nei mitici anni ’70 e ’80, quando, se incontravi il possibile amore della tua vita, dovevi cogliere al volo l’occasione, senza aspettare di potergli inviare una richiesta d’amicizia su facebook; quando bastava l’accenno di uno sguardo per scatenare le fantasie più inconfessabili;  quando la sera ci si ritrovava tutti in piazza, sulle ginocchia della nonna per sentirla raccontare storie dell’orrore e nessuno sentiva il bisogno di dover accendere la tv; quando era impossibile vedere bambini che non avessero i pantaloni all’altezza delle ginocchia macchiati col verde dell’erbetta… un mondo reale, concreto e allo stesso tempo magnifico e cristallizzato, la cui estrema vicinanza e il vivido ricordo rendono quest’indifferenza ancora più insopportabile.
Ilaria 





martedì 3 settembre 2013

Pensieri delle 21

Arrivare alle nove di sera con una voglia di scrivere incontrollabile. Scrivere con la musica di sottofondo, una canzone appena scoperta che già mi piace, pensieri e parole che affollano la mente e l’unico modo per lasciarle andare è affrontare la tastiera. E così gettare sulla pagina bianca parole e parole. 
"Sfiorarsi l’anima è maledettamente pericoloso, e così si bypassa il cuore e si sfiora il cervello. Si spera così di razionalizzare un po’ per quel che si può il fiume di pensieri. Ma fino a che punto si è pronti a spingersi pur di nascondersi emozioni e paure? Buttare la polvere sotto il tappeto invece di spalancare le finestre. Ignorare il cordone ombelicale mai tagliato con certi posti e continuare a inciamparci. Socchiudere porte di ripostigli invece di entrare e fare pulizia. Alla fine si va in overdose di emozione non dette, sentimenti taciuti e paure. Si fa un’ indigestione di sé stessi. Alla fine. Ma la fine non è fine in realtà, ma solo il punto di partenza per iniziare a fare quello che si sarebbe dovuto fare molto tempo prima: pulire il cuore e farlo vivere, anche se fa male, così intorpidito, tagliare i cordoni e lasciare entrare la luce." 
Fine ai pensieri serali delle 21
"Pensieri da block notes nero, quello da tenere sempre in borsa, vecchio e con la copertina penzolante. Quello su cui riversare le parole impazienti e scarabocchi comprensibili solo a sé stessi. Spesso sono solo parole e simboli buttati lì, storie in potenza e che nasceranno, ma non ora, Ora è troppo presto, in anticipo rispetto a te, perfino. Aspettare a volte è l’unica strada, la più sana per maturare un altro po’ dentro. Solo un pizzico ancora e ancora. Metto le virgolette all’inizio del paragrafo e le chiudo qui."
Fine vera dei pensieri delle 21

domenica 1 settembre 2013

La domenica di un nuovo inizio

Svegliarsi di domenica mattina con le voci dei bambini in giro per casa, bere il caffè a letto dopo aver passato due o tre minuti a cercare di riacquistare l'uso delle mani per non sporcare le lenzuola, uscire e vedere la cucina piena di gente che ti dà il buongiorno e fare colazione con le crostatine al cioccolato. Domenica mattina a casa della nonna è questa; per un attimo tornare indietro di qualche anno a quando tutto questo era il quotidiano e non una domenica all'anno. Domenica che coincide con il 1 Settembre, il giorno in cui iniziare una nuova vita (un po' come si pensa di fare puntualmente ogni 31 Dicembre), il giorno in cui realizzi che l'estate è finita, che la poca abbronzatura rimasta ti abbandonerà non appena sentirà l'odore del cloro e il giorno che una grande scrittrice ha scelto per far iniziare la più grande avventura di tutti i tempi.
E' proprio vero che le domeniche volano; e così come sono iniziate finiscono, proprio come la mia, oggi. Certo, nel mezzo c'è stata una pasta al forno degna di nota, la birra non birra al limone e il semifreddo comprato all'ultimo minuto con arancia e cioccolato, la prima partita di scopa vinta e finalmente la quasi chiarezza su come contare i punti. Gli abbracci e i baci, il telefilm delle tre e i sonnellini degli altri. Alla fine restano i saluti e la valigia da rifare. 
Partire e ritrovarsi a cantare a squarciagola, nel nulla più assoluto, "Ragazzo Fortunato" di Jovanotti e poi "Home" di Michael Buble. Canzoni che sono arrivate al momento giusto e che mi hanno fatto venir voglia di scrivere sul mio modo di pensare casa e sulla fortuna di questo primo settembre. Ho letto di tanti che oggi lo considerano il giorno perfetto per ricominciare e forse un ritorno alle origini è stato il modo perfetto per staccare, fermarmi e ripartire. 
Settembre ben arrivato! Che dire, come primo giorno non è andata male... Adesso, apprezzare questi "hic et nunc", fermarsi e ringraziare per questi piccoli momenti di paradiso nonostante il caos generale che regna di solito. E anche se questo mese significa autunno probabilmente significa anche tanto altro, possibilità di scegliere cosa fare e dove andare da qui in poi. Cos'altro? Be great, September
Giulia