Non riusciva a smettere di correre. I vestiti fradici lo
rallentavano ma non lo fermavano; i capelli, anch’essi bagnati, gli coprivano
il volto; i lacci infangati lo fecero inciampare più volte, impigliandosi a
tutto ciò che incontravano, quasi a voler arrestare quella corsa disperata.
Ma lui correva, correva ancora. Sembrava che il ciondolo
che teneva al collo stesse aumentando di peso, la catenella stringeva sempre di
più, la pressione del metallo sul petto stava diventando insopportabile:
sembrava volesse perforarlo, e più imprimeva la sua forma sulla pelle, più
rendeva nitidi e indelebili i ricordi legati alla persona a cui era
appartenuta.
Doveva continuare a correre, ma prima si sarebbe liberato
di quella collana. La strappò via con un gesto deciso e isterico, ma non ebbe
il coraggio di gettarla via: la mise in tasca, come se volesse nasconderla a se
stesso.
Correva ancora: invece di perdere fiato, sembrava
riacquistarlo; il bruciore alle ginocchia e al gomito destro, la protesta
sottoforma di dolore dei muscoli, il vento gelido che gli sferzava il volto…
non si era mai sentito così vivo. Non poteva fermarsi, non ne era in grado: dal
momento in cui aveva iniziato a correre, aveva smesso di pensare e non era
disposto a ricominciare a farlo, non era ancora pronto; forse non lo sarebbe
mai stato. Da cosa fuggiva? Un po’ da tutti, un po’ dal Mondo.
Si stava stancando, la fatica iniziava a farsi sentire
davvero: accelerò il passo. Sentiva che stava per arrivare, la meta era vicina,
la catarsi ultimata. Imboccò la strada di casa, riconosceva già il suo
vialetto. Ora iniziava a sentire suo figlio che rideva, stava guardando il suo
programma preferito; vide la sagoma della moglie che stava raggiungendo il
figlio in salotto.
La corsa era finita, era pronto a riaffrontare la vita.
“Amore, sono a casa!”
Ilaria
Nessun commento:
Posta un commento